TESTO E PARAFRASI



Mentre che li occhi per la fronda verde
ficcava io sì come far suole
chi dietro a li uccellin sua vita perde, 3


lo più che padre mi dicea: «Figliuole,
vienne oramai, ché 'l tempo che n'è imposto
più utilmente compartir si vuole». 6


Io volsi 'l viso, e 'l passo non men tosto,
appresso i savi, che parlavan sìe,
che l'andar mi facean di nullo costo. 9


Ed ecco piangere e cantar s'udìe
'Labia mea, Domine' per modo
tal, che diletto e doglia parturìe. 12


«O dolce padre, che è quel ch'i' odo?»,
comincia' io; ed elli: «Ombre che vanno
forse di lor dover solvendo il nodo». 15


Sì come i peregrin pensosi fanno,
giugnendo per cammin gente non nota,
che si volgono ad essa e non restanno, 18


così di retro a noi, più tosto mota,
venendo e trapassando ci ammirava
d'anime turba tacita e devota. 21


Ne li occhi era ciascuna oscura e cava,
palida ne la faccia, e tanto scema,
che da l'ossa la pelle s'informava. 24


Non credo che così a buccia strema
Erisìttone fosse fatto secco,
per digiunar, quando più n'ebbe tema. 27


Io dicea fra me stesso pensando: 'Ecco
la gente che perdé Ierusalemme,
quando Maria nel figlio diè di becco!' 30


Parean l'occhiaie anella sanza gemme:
chi nel viso de li uomini legge 'omo'                                      ben avria quivi conosciuta l'emme. 33

Chi crederebbe che l'odor d'un pomo
sì governasse, generando brama,
e quel d'un'acqua, non sappiendo como? 36


Già era in ammirar che sì li affama,
per la cagione ancor non manifesta
di lor magrezza e di lor trista squama, 39


ed ecco del profondo de la testa
volse a me li occhi un'ombra e guardò fiso;
poi gridò forte: «Qual grazia m'è questa?». 42


Mai non l'avrei riconosciuto al viso;
ma ne la voce sua mi fu palese
ciò che l'aspetto in sé avea conquiso. 45


Questa favilla tutta mi raccese
mia conoscenza a la cangiata labbia,
e ravvisai la faccia di Forese. 48


«Deh, non contendere a l'asciutta scabbia
che mi scolora», pregava, «la pelle,
né a difetto di carne ch'io abbia; 51


ma dimmi il ver di te, di' chi son quelle
due anime che là ti fanno scorta;
non rimaner che tu non mi favelle!». 54


«La faccia tua, ch'io lagrimai già morta,
mi dà di pianger mo non minor doglia»,
rispuos'io lui, «veggendola sì torta. 57


Però mi dì, per Dio, che sì vi sfoglia;
non mi far dir mentr'io mi maraviglio,
ché mal può dir chi è pien d'altra voglia». 60


Ed elli a me: «De l'etterno consiglio
cade vertù ne l'acqua e ne la pianta
rimasa dietro ond'io sì m'assottiglio. 63


Tutta esta gente che piangendo canta
per seguitar la gola oltra misura,
in fame e 'n sete qui si rifà santa. 66


Di bere e di mangiar n'accende cura                               l'odor ch'esce del pomo e de lo sprazzo                           che si distende su per sua verdura. 69

E non pur una volta, questo spazzo
girando, si rinfresca nostra pena:
io dico pena, e dovrìa dir sollazzo, 72


ché quella voglia a li alberi ci mena
che menò Cristo lieto a dire 'Elì',
quando ne liberò con la sua vena». 75


E io a lui: «Forese, da quel dì
nel qual mutasti mondo a miglior vita,
cinq'anni non son vòlti infino a qui. 78


Se prima fu la possa in te finita
di peccar più, che sovvenisse l'ora
del buon dolor ch'a Dio ne rimarita, 81


come se' tu qua sù venuto ancora?
Io ti credea trovar là giù di sotto
dove tempo per tempo si ristora». 84


Ond'elli a me: «Sì tosto m'ha condotto
a ber lo dolce assenzo d'i martìri
la Nella mia con suo pianger dirotto. 87


Con suoi prieghi devoti e con sospiri
tratto m'ha de la costa ove s'aspetta,
e liberato m'ha de li altri giri. 90


Tanto è a Dio più cara e più diletta
la vedovella mia, che molto amai,
quanto in bene operare è più soletta; 93


ché la Barbagia di Sardigna assai
ne le femmine sue più è pudica
che la Barbagia dov'io la lasciai. 96


O dolce frate, che vuo' tu ch'io dica?
Tempo futuro m'è già nel cospetto,
cui non sarà quest'ora molto antica, 99


nel qual sarà in pergamo interdetto
a le sfacciate donne fiorentine
l'andar mostrando con le poppe il petto. 102


Quai barbare fuor mai, quai saracine,
cui bisognasse, per farle ir coperte,
o spiritali o altre discipline? 105


Ma se le svergognate fosser certe
di quel che 'l ciel veloce loro ammanna,
già per urlare avrian le bocche aperte; 108


ché se l'antiveder qui non m'inganna,
prima fien triste che le guance impeli
colui che mo si consola con nanna. 111


Deh, frate, or fa che più non mi ti celi!
vedi che non pur io, ma questa gente
tutta rimira là dove 'l sol veli». 114


Per ch'io a lui: «Se tu riduci a mente
qual fosti meco, e qual io teco fui,
ancor fia grave il memorar presente. 117


Di quella vita mi volse costui
che mi va innanzi, l'altr'ier, quando tonda
vi si mostrò la suora di colui», 120


e 'l sol mostrai; «costui per la profonda
notte menato m'ha d'i veri morti
con questa vera carne che 'l seconda. 123


Indi m'han tratto sù li suoi conforti,
salendo e rigirando la montagna
che drizza voi che 'l mondo fece torti. 126


Tanto dice di farmi sua compagna,
che io sarò là dove fia Beatrice;
quivi convien che sanza lui rimagna. 129


Virgilio è questi che così mi dice»,
e addita'lo; «e quest'altro è quell'ombra
per cui scosse dianzi ogne pendice


lo vostro regno, che da sé lo sgombra». 133



Mentre guardavo tra i rami verdi come fanno coloro che osservano gli uccelli.


Virgilio, come un padre per me, mi disse: << Figlio mio, adesso vieni via da lì, il tempo che ci è dato deve essere impiegato in modo più utile >>.


Io mi voltai subito e, non meno in fretta, mossi i passi dietro i due saggi, che non mi facevano pesare per niente il viaggio.


Ed ecco piangere e un canto sentii, " Labia mea, Domine ", che suscitò gioia e dolore contemporaneamente.


<< Caro Virgilio, che cos'è questo che sento ? >> e lui << Forse sono ombre che stanno sciogliendo il nodo dei loro peccati >>.


Come i pellegrini concentrati, che osservano le persone senza fermarsi,


così una folla di anime silenziose ci osservava e ci superò e continuò il cammino più velocemente.


Avevano gli occhi scuri e cavi, la faccia pallida, e tanto magri che la pelle prese la forma delle loro ossa.


Non credo che neppure Erisittone fosse così magro, per via del digiuno.


Pensai tra me e me che fossero come coloro sconfitti a Gerusalemme, quando Maria affondo' i denti nel figlio.


Parevano le loro occhiaie come anelli senza gemme, e nel viso di questi uomini si leggeva "omo".


Chi potrebbe credere che l'odore di un frutto generasse tanta brama di mangiare, e anche quello dell'acqua tanta sete, da ridurli così?


Ammiravo stupito che cosa gli rendesse tanto affamati, la ragione della magrezza non mi era ancora stata manifestata,

ed ecco dal profondo della testa volse verso di me gli occhi un'ombra e mi guardo'; poi grido' forte: <<Che grazia mi e' questa?>>.


ma non l'avrei riconosciuto dal viso; ma dalla voce era palese ciò che il corpo nascondeva.


Questa voce riaccese in me la conoscenza e così riuscì a riconoscere la faccia di Forese.



<<Deh, non badare alla scabbia che mi scolora >>, pregava <<ne' alla magrezza della mia pelle;


ma dimmi di te, di chi sono quelle due anime che ti seguono; non restare senza parlarmi!>>.


<<La tua faccia, che gia' piansi quando moristi, mi fa piangere adesso con non meno dolore >>, risposi io a lui, <<vedendola così deformata.


Pero' dimmi, per Dio, cosa vi consuma, non mi far dire niente mentre sono stupito, che solo cose brutte puo' dire uno che ha un'altra voglia>>

E lui a me: <<Dall'alto della divina volontà scende del potere nell'acqua e nella pianta rimaste dietro, che mi fa dimagrire.


Tutta questa gente che piangendo canta per seguire la gola, con la fame e la sete qui si rifa' santa.



La voglia di bere e di mangiare si accende dall'odore che esce dal frutto e dallo spruzzo dell'acqua che si distende su questa valle.

E neppure una volta, girando questo girone, si rinnova la nostra pena: io dico pena, ma dovrei dire gioia,


perche' quella voglia ci porta dagli alberi come porto' Cristo a dire "Elì", quando ci libero' con il suo sangue>>.


E io a lui: <<Forese, da quel giorno che passasti a miglior vita, non sono ancora passati cinque anni.


Se prima fu la possibilita' di finire di peccare di piu', che arrivasse il buon dolore di Dio meritato,


come sei gia' venuto fino a qua? credevo di trovarti là sotto (antipurgatorio), dove tempo per tempo si aspetta>>.



E lui a me:<<Mi ha condotto qui a bere la dolce essenza della pena la mia Nella con il suo piangere a dirotto.


Con le sue preghiere devote e con sospiri mi ha tolto dalla costa dove si aspetta, e mi ha liberato dagli altri gironi.


Tanto e' a Dio piu' cara e piu' devota la mia vedova, che molto amai, quanto a operare in bene e' piu' sola >>



perche' la Barbagia di Sardigna ha donne assai piu' pudiche di quanto ne ha la Barbagia da dove io lasciai.


O dolce fratello, cosa vuoi che ti dica? Il tempo futuro mi e' gia' al cospetto, e non sara' quest'ora molto lontana,


nel quale sara' proibito alle donne fiorentine di andare in giro mostrando il petto.


Quali barbare furono, quelle saracene, le quali bisognava farle coprire, o spirituale o altra disciplina?


Ma se le svergognate sapessero quello che il cielo emmanera' veloce contro di loro, gia' ora avrebbero le bocche aperte, e urlerebbero


perche', se il vedere non mi inganna, saranno tristi prima che le guancie impeli di un bambino avranno la barba.


Deh, fratello, non nascondermi quello che ti ho chiesto! vedi che non solo io, ma tutta questa gente rimarra' la' dove sei tu>>.


Percio' io a lui:<<Se riporti alla mente come eri te e com'ero io, ancora adesso sara' spiacevole.


Da quella vita mi tolse colui che ho davanti, l'altro giorno, quando vedeste sua sorella>>,


e il sole gli mostrai; <<lui mi ha guidato per la profonda oscurita' dei veri morti con me che lo asseconda.



Da li' mi ha dato conforto, salendo e rigirando la montagna che raddrizza voi che il mondo fece torti.


Mi dice che mi accompagnera' fin la' dove io saro' con Beatrice; li' e' necessario che rimanga senza di lui.


Virgilio e' colui che mi dice queste cose>>, e lo indicai'; <<e quest'altro e' quell'ombra per cui tremo' ogni pendice


il vostro regno, che lo allontana da se'>>

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